Intervista di Antonella Loi a Dalia Masia
Sarebbe bello scoprire un giorno che sono stati i sardi a far conoscere il Cannonau agli spagnoli e non viceversa anche se la Spagna rimane comunque la madre di moltissimi vitigni coltivati in Sardegna. Studi archeologici condotti recentemente in un sito nuragico di Borore hanno portato alla scoperta di alcuni vinaccioli risalenti al 1500 a.C. Significa che i sardi hanno coltivato la vite e prodotto vino prima dell’arrivo nell’Isola dei fenici dei romani e degli aragonesi. Come sostiene Attilio Scienza, docente di Viticoltura all’Università di Milano, la cultura nuragica potrebbe essere stata capace di domesticare la vite. La scoperta dimostra che uno dei vitigni più antichi del mondo potrebbe trovarsi in Sardegna. Il Cannonau è il vitigno che ci ha fatto conoscere nel mondo ed è senz’altro quello che più ci caratterizza. A cominciare dal nome che è inequivocabilmente autoctono,nonostante il vitigno sia presente in tutto il mondo. Gli spagnoli lo chiamano Garnacha ed i francesi Grenache dove contribuisce a produrre uno dei migliori vini al mondo.Ne troviamo sinonimi anche nel resto di Italia, vedi il Tocai Rosso vicentino e il Gamay umbro. Ma il Cannonau ha delle peculiarità dovute a fattori ambientali che lo rendono unico. Quello di Jerzu, è coltivato su terreni scistosi ad altezze che possono toccare anche i 700 metri; quello di Oliena, il Nepente, in territori più calcarei e ad altezze minori o quello di Capo Ferrato che si coltiva anche al livello del mare. In generale possiamo dire che la caratteristica principale, insieme alla sua corposità, è l’alto tasso alcolico dato da un’importante percentuale zuccherina nell’uva. Questa è una caratteristica che da un lato lo rende poco bevibile a chi non è abituato a questo tipo di vino ma che lo ha reso commercializzabile in tempi passati anche al di fuori della Sardegna permettendone la conservazione durante il trasporto. Il livello zuccherino ha permesso inoltre di riscoprire versioni dolci del Cannonau, presenti fino ai primi del Novecento, poi ripreso dalla Sella&Mosca con l’Anghelu Ruju. Ultimamente altre cantine stanno producendo il Cannonau in versione passita, come la cantina di Jerzu con l’Akratos e Gostolai con il Su Gucciu. Dal rubino del Cannonau al paglierino del Vermentino dove quello di Gallura è l’unica Docg presente in Sardegna e viene prodotta nella zona Nord-Orientale dell’Isola al contrario del Vermentino di Sardegna che è diffuso un po’ in tutta l’Isola. Il terreno dove si coltiva il Vermentino di Gallura è granitico, quindi il vino acquista sapidità e mineralità che difficilmente ritroviamo in altre zone. Il Vermentino in generale ha note pesca, albicocca ed erbe aromatiche e sempre una buona acidità. Ritroviamo questo vitigno – anch’esso di origine spagnola – in altre zone d’Italia, come il ligure Pigato e il piemontese Favorita. La Sardegna ha un grande potenziale anche sui vini dolci, pensiamo ad esempio al Nasco che ha avuto vari riconoscimenti sia con il Latinia di Santadi che l’Angialis di Argiolas.Ci sono poi i vari Moscati: il Moscato di Sardegna, di Cagliari e quello di Sorso-Sennori, una Doc che andava scomparendo e fortunatamente recuperata. Un’altra Doc che va scomparendo è il Girò di Cagliari, un ottimo dolce ormai quasi impossibile da trovare. Il disciplinare lo indica proprio come vino da dessert.Sempre in tema di fine pasto una importante tradizione tutta sarda è la Vernaccia che non è un vino dolce ma è un vino secco, nonostante venga servito tradizionalmente con gli amaretti con i quali crea un interessante contrasto dolce-amaro. Ci sono altre Vernacce in Italia vedi Vernaccia di San Gimignano o la Vernaccia di Serrapetrona ma sono vitigni e vini completamente diversi. E’ un vitigno coltivato in pianura e in aree paludose come la zona di Cabras e tutta la bassa valle del Tirso. Rinomata è poi la Vernaccia di Solarussa che ha una antica tradizione.La Vernaccia ha un metodo di produzione molto particolare: il vino prodotto viene messo in botti scolme, riempite per 2/3. Lo spazio lasciato nella botte fa sì che si sviluppi il lievito presente nell’aria, creando la cosiddetta flor che protegge il vino e gli fa acquisire degli aromi particolari di carattere ossidativo che i francesi chiamano elegantemente rancio. Qui in Sardegna abbiamo Vernacce che vengono fatte invecchiare almeno dieci anni: un lavoro di cantina incredibile a fronte di prezzi talvolta stracciati. Grandi vini vengono prodotti in Europa con questa tecnica, vedi ad esempio lo Jerez spagnolo e i Vin Jaune francese.E’ da molti considerato un vino da meditazione: secco con aromi di mandorla, colore oro antico con riflessi ambrati, localmente si abbina alla bottarga e per il resto al di fuori della Sardegna è praticamente sconosciuto.Tradizionalmente con la stessa tecnica della flor si producono vini dai vitigni Malvasia e Arvisionadu ma di difficile reperibilità. Altri vitigni che ci caratterizzano e su cui la viticoltura sarda ha ancora molto da dire sono il Carignano e il Cagnulari. Due vitigni molto localizzati, il primo al Sud e il secondo al Nord, spesso sconosciuti l’uno nella terra dell’altro. Forse è un po’ la storia della Sardegna. Il Carignano è conosciuto in tutto il mondo (in Francia è detto Carignan) e in Sardegna ha coltivazioni interessanti, per esempio a Portopino dove il terreno sabbioso e il clima lo rendono immune dalla fillossera dunque le uve vengono coltivate piede franco. Il Carignano è un rosso molto apprezzato: il Terre Brune di Santadi si è aggiudicato l’Oscar del vino 2006. A fare da contraltare nordico c’è il Cagnulari, anche questo un vitigno che andava scomparendo. L’ha ripreso la cantina Cherchi di Usini che ha così recuperato una tradizione facendo da traino sia al vitigno che alla zona. Il vino comincia ad avere potenzialità anche sotto l’aspetto industriale anche se c’è stata in passato un’ondata di espianti di vigne – sollecitata dal mercato europeo – che ha cancellato gran parte delle vecchie produzioni. Oggi tornare indietro è difficile. In ogni caso i viticultori sono molto aperti all’innovazione e anche lo spumante che da noi non ha una tradizione sta dando buoni risultati, sia quando ottenuto col metodo Charmat che, da ultimo con quello classico, oltre ovviamente all’immancabile novello. La tradizione vinicola sarda passava per la maggiore attraverso le cantine familiari, il vino di proprietà, che, a torto o a ragione, spesso nel comune sentire è sinonimo di qualità. Il grande Luigi Veronelli sostenva che “il peggiore vino contadino è migliore del vino industriale”.Non sempre è così ma vi è una nuova generazione di produttori che va alla riscoperta di metodi e vitigni tradizionali, recuperando tecniche di vinificazione perdute nel passato, vedi ad esempio Alessandro Dettori di Sennori e GianFranco Manca di Nurri. Proprio il recupero dei vitigni, delle tradizioni e dei territori può diventare una delle carte vincenti dell’enologia sarda.
Fonte: Làcanas
Se mi potessi dire dove posso trovarti, invito aperitivo e cena.
Saverio Bruni