Di Mauro Erro.
Ne avevo aperto una bottiglia al mattino per permettergli di uscire, ambientarsi, vincere la timidezza e svelarsi, pian piano, fino ad aprirsi completamente quando, insieme ad amici, mi sarei seduto al tavolo e curioso mi sarei messo a sentire cosa aveva da dirmi. Di tanto in tanto avvicinavo il naso al collo della bottiglia sperando di coglierlo in fallo, annusare qualche sentore che indicasse che si era deciso ad uscir fuori, ad esprimersi, invece di starsene lì nel suo involucro di vetro dove oramai riposava da sedici anni. Niente, non ne voleva sapere. Era un vino tutto di un pezzo direi, niente smancerie, ruffianerie, nessuna presentazione ad effetto, se ne stava lì e amen.Un vecchiaccio sentimentale e retrò, cocciuto e colto: di quella cultura che viene dalla tradizione di gesti che si ripetono (sin dal 1860), che si trasmettono e si rinnovano e che gelosamente vengono preservati dalla barbarie di chi non avendo radici, dimentica il passato, la propria storia, se stesso ed il luogo, e di conseguenza è incapace di raccontarlo. Luoghi fatti di vigne che salgono su pendii scoscesi, abbarbicate grazie anche all’umano intervento: ai terrazzamenti che almeno permettono – ah, è faticoso solo immaginarlo – agli eredi di Arturo Pelizzatti Perego, di salire e salire e salire e cogliere i frutti che la natura gli concede.Dopo dieci ore o giù di lì era arrivato il momento di parlargli.Lo verso nel bicchiere, e nel frattempo riguardo per l’ennesima volta la bottiglia: Sassella Riserva Vigna Regina 1991. Il colore è granato, luminoso e vivido di riflessi rubini, che degrada verso l’esterno illimpidendosi fino a divenire terso, cristallino e brillante sulla parete del bicchiere. Mi avvicino con il naso, e il vino, dopo aver dato bella mostra di se, restio stenta a concedersi. Aspetto. Lo riscaldo, lo annuso, lo saggio. Credo sia meglio accompagnarlo a qualche piatto, dargli modo di sposare i suoi aromi e sentori con qualche semplice leccornia, non lasciarlo nella solitudine di chi impaurito teme il giudizio, ma coinvolgerlo in un tourbillon di amorose sensazioni. E che diamine, ha pur sempre un’età e merita rispetto! Finalmente, dopo un po’, grazie al tepore che dalle mani giunte è arrivato, si svela, si racconta. Dapprima un’evidente sfumatura affumicata, il preludio di un profilo essenziale, ma dinamico, estremamente affascinante perché sussurrato e che obbliga ad un religioso silenzio, ad una rispettosa attenzione ad esso dedicato; poi ciliegia sotto spirito ed agrumi, sfumature minerali, note floreali, effluvi balsamici, sentori di spezie. Verticale il suo sviluppo al palato, un acidità nerboruta – è vecchiaccio dalla schiena dritta – e buona sapidità. Emozionante. Mostra la sua età nella struttura forse leggermente esile, ma soprattutto nella persistenza non lunghissima. Appare, e poi, puff, elegante e impettito, con la sua immensa personalità, ci lascia, dissolvendosi come un’ombra.Sipario.
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